venerdì 29 settembre 2023

FANTASMI?





Uno schianto secco, improvviso, stridente ,mi ha fatto balzare a sedere sul letto, con il cuore in gola. Ho acceso la luce e guardato l’ora: le tre. Scesa dal letto, mi sono precipitata in camera di Roberta, trovandola già seduta, pallida, tremante. Ha sostenuto che fossero i fantasmi a fare quei rumori spaventosi. Naturalmente non ci ho creduto nemmeno per un minuto. Nel frattempo lo schianto si è ripetuto, sempre seguito dal lamento, e lei ha insistito che fossero i fantasmi che camminavano al piano di sopra. Inutile dirle che  dubitavo fortemente che i fantasmi camminassero, perciò ho aperto decisamente la porta di casa e, seguita da lei, più titubante e incerta, ma deliziosa nella sua camiciola da notte leggera e vaporosa, sono uscita sul pianerottolo.

Buio. Silenzio. «È buio» ha detto Roberta, come se non fosse evidente. «Cavoli, accendiamo la luce» le ho risposto con altrettanta banale evidenza.    

Ma la luce non si trovava. Il pulsante luminoso non si vedeva e le mani, fatte passare più e più volte sul muro, non riuscivano a percepirlo. Infine l’ho trovato, ma niente. Niente di niente. Uffa! Ci mancava anche un black out! Seguendo a tentoni il corrimano delle scale, ho iniziato a salire.

«Perché vai su?» ha chiesto  Roberta in un sussurro, vincendo l'oscar dell'ovvietà. Mi sono armata di santa pazienza, spiegandole che, venendo il rumore da sopra, dove stanno Orazio e Serri (e specialmente quest'ultimo), era logico andare su.

Un altro schianto, seguito da uno sfrigolio e una specie di calpestio. Roberta ha insistito che fossero i fantasmi. Fantasmi un corno ho  pensato.

Inciampando in quasi tutti i gradini e maledicendomi perché non li avevo contati, per cui non sapevo quando sarebbe finita la scala, ho marciato decisa verso l’appartamento di quel nostro nuovo strano inquietante vicino di casa, sicura che la colpa di tutti quegli schianti sfrigolii e scricchiolii fosse sua.

«Potevamo prendere il cellulare per illuminare» ha osservato con ferrea logica la mia amica. «Potevamo, se ce lo ricordavamo e se sapevamo che la luce delle scale non funzionava» le ho risposto.

Bene o male siamo arrivate davanti alla porta di Claudio e io ho bussato decisamente. Silenzio. Dall’interno non proveniva il minimo rumore, anzi un’aura di serenità sembrava pervadere l’ambiente circostante, come se fuoriuscisse dalla porta chiusa, infiltrandosi nelle fessure e raggiungendo, come un blob etereo, ogni angolo del pianerottolo. Un passo felpato, felino, si è fatto udire leggermente alle nostre spalle.

 «C’è qualche problema?» La voce di Claudio, proveniente dall’ombra dietro di noi, ci ha fatto sobbalzare. Ci siamo girate e, inquadrato controluce sulla soglia dell’appartamento di Orazio, c’era lui con indosso solo un paio di boxer aderenti, con l’immagine di un drago rosso in campo nero.

Cercando di non guardarlo in quel punto in cui il drago pareva attorcigliarsi con atteggiamento erotico e beffardo, ho cercato di spiegargli un po’ confusamente perché eravamo lì.

 «È il vostro amico, di là – ha tagliato corto lui, con quella sua voce secca e decisa – sta vomitando tutto l’alcool che si è scolato» e ha indicato alle sue spalle la porta del bagno di Orazio, che era aperta, mentre questi, scosso dai conati, vomitava nel water, lamentandosi e piangendo.

«Bene, lo affido alle vostre cure» ha detto Claudio e, attraversando il pianerottolo, è scomparso nel suo appartamento.

«Quell’uomo non riesce proprio a stare vestito» ho sentenziato. E Roberta ha assentito, avendo capito perfettamente che la mia attenzione, come la sua, del resto, non era affatto rivolta al poveretto che stava vomitando anche l’anima, bensì al giovane attraente e indisponente che ci aveva appena liquidate sulla soglia di casa sua.

 «Ohi, ohi ohi » Orazio è tornato nella stanza asciugandosi le labbra con un fazzolettino tutto stropicciato  e reggendosi la testa con una mano.

 «Ma quanti ne hai bevuti? » gli ho chiesto  spazientita. E lui ha confessato che, con quel gruppetto di amici di Serri, là all'Inferno, così spiritosi e così simpatici, che facevano a gara per stare con noi (più che altro con Roberta – ho pensato, ma ho taciuto) lui si è sentito così goffo, così brutto, così niente... e ha ricominciato a piangere, dapprima sommessamente, poi senza ritegno, con il corpo scosso da singhiozzi dolorosi.

Confesso che mi sono  sentita intenerire, comprendendo benissimo i motivi di Orazio: quante volte io ho provato la stessa cosa, in mezzo alle altre? Quante volte ho dovuto ammettere con me stessa di essere la meno bella, la meno appariscente, la meno aggraziata, la meno in tutto tranne che nel peso? 

L’abbiamo consolato e rincuorato e dopo un po’ lui si è calmato e ha annunciato che aveva bisogno di una lunga dormita, si è sdraiato su quel suo divano scricchiolante (colpevole di tutto lo schianto sentito) e in pochi minuti si è messo  a russare sonoramente.

«Avrà un bel mal di testa, domani – ha detto Roberta – ma per fortuna è domenica e avrà il tempo di riprendersi».

In punta di piedi siamo uscite e tornate in casa nostra,  questa volta con la luce che nel frattempo era tornata, permettendoci di scendere senza incidenti.

Roberta, stiracchiandosi, mi ha augurato la buonanotte. «Buonanotte - le ho risposto - ho proprio voglia di un lungo sonno ristoratore…e guai a chi osa svegliarmi prima delle 14 di domani!». Mi sono sdraiata nel letto e ho chiuso gli occhi.

«Però, com’è sexy in mutande…» è stato il mio ultimo pensiero prima di cadere tra le braccia di Morfeo, le uniche braccia che mi prendono al volo, da un po' di tempo in qua.


lunedì 25 settembre 2023

QUATTRO (ANZI DIECI) AMICI AL BAR





Mentre stavo lì a riflettere sulle mie sventure, Roberta si è alzata ed ha marciato decisa verso il tavolino dove Serri stava ridendo alla battuta di un amico.  

“Allora sa ridere” ho pensato, seguendo meccanicamente la mia amica, mentre Orazio, non sapendo che fare, si è accodato.  

Roberta nel frattempo è giunta all’altezza dei sette ragazzi che stavano lì seduti: Claudio, l’affascinante sconosciuto e altri cinque.

Come se una scossa elettrica li avesse colpiti, i giovani hanno alzato contemporaneamente la testa, ammutolendosi davanti alla bellezza selvaggia della mia amica: tutti tranne Claudio, che l’ha guardata appena, e lo sconosciuto, che stranamente ha fissato il suo sguardo nel mio. Nessuno, ovviamente, ha badato ad Orazio, che rimaneva alle nostre spalle, eroicamente deciso ad intervenire in caso di guai.

Roberta non si è lasciata scoraggiare dall’atteggiamento scostante di Claudio e, rivolgendogli un sorriso che avrebbe fatto desiderare di essere umano anche ad un angelo, per potersi dedicare ad attività del tutto terrene, gli ha soffiato sul viso un “ciao” che ha vibrato nell’aria come il suono di un’arpa. Lui ha risposto con uno strascicato “Sera” che gli è costato la riprovazione unanime, non espressa a parole, ma con gli sguardi di rimprovero di tutti gli altri. L’amico seduto al suo fianco destro l’ha guardato come se volesse incenerirlo all’istante, ma lui ha scrollato le spalle, dedicando la sua attenzione al bicchiere d’acqua che aveva davanti.

 «Ciao – hanno risposto gli amici al posto suo - dai sedetevi» e si sono affrettati a fare a gara per trovare due sedie per noi ragazze, mentre Orazio, non invitato, ma deciso a non abbandonare il campo, ha dovuto cercarsela da solo.

 «Io sono Luca» si è presentato il giovane dallo sguardo inceneritore, impappinandosi un po’ nel proprio nome, che sembrava più un “Luce” che un “Luca”.

 «Riccardo» ha detto un altro.

 Si sono presentati, a turno, anche Alessandro, Lorenzo, Enrico. Fu è stata la volta dell’affascinante sconosciuto, che ha detto di chiamarsi Manlio. Il silenzio irreale che aveva accompagnato l’arrivo trionfale di Roberta, si è trasformato improvvisamente un chiacchiericcio irrefrenabile. I ragazzi sovrapponevano le voci, circondando di mille attenzioni quella che sembrava una dea, pronti a dimenticare la propria ventennale amicizia e a scannarsi l’un l’altro pur di averla tutta per sé. L’unico a dedicare tutta la sua attenzione a me (udite udite) è stato Manlio, che, parlandomi, mi sfiorava continuamente il braccio o il fianco o la mano. Claudio sembrava indifferente, come se veleggiasse in un altro mondo.  

Quando è arrivato il momento di andare via, tutti si sono offerti di accompagnare Roberta e anche me, per quanto nessuno sembrasse mostrare particolare entusiasmo verso la sottoscritta, a parte (forse!) Manlio, che mi ha tenuto a lungo la mano, disegnandomi sul palmo degli immaginari cerchi concentrici con il pollice, cosa che, più tardi, riferita a Roberta, mi ha fruttato un “Evvai! Ci siamo,  si è fatto avanti, allora!”.

Con un sorriso incantevole, Roberta ha declinato tutte le offerte, dichiarando che comunque avevamo la nostra auto. I giovani non si sono lasciati convincere e ci hanno accompagnato al parcheggio, distante circa dieci metri, metri terribili, a loro dire, nei quali si annidavano chissà quali mostri che, acquattati nell’ombra, sarebbero balzati fuori per fare cose orripilanti a due ragazze indifese.

Claudio, che non sembrava particolarmente preoccupato per la presenza di questi orripilanti mostri virtuali, ha dichiarato: «Io vi aspetto qui», salutando con un cenno del capo quelle che pareva  considerare nella migliore delle ipotesi due seccature, cioè noi. Orazio, a sorpresa, è rimasto seduto al tavolino, depresso all’idea del codazzo di marpioni che seguiva Roberta e deciso ad affogare nell’alcool il suo dolore.

 

domenica 24 settembre 2023

SGUARDO STRANO





 

Moro, capelli spioventi, occhi di un azzurro chiarissimo, quasi grigio, sopracciglia folte, mi guardava dritto con uno sguardo a metà tra il sorridente e il seducente. Mi sono sentita rimescolare, non so se per l’emozione o l’effetto del cocktail che stavo bevendo.  

«C’è uno che mi osserva con uno sguardo strano» ho farfugliato rivolta a Roberta.

« Strano? Cosa vuol dire strano? »

« Forse per te è normale, ci sei abituata, penso che tutti gli uomini che incontri ti guardino così, per me è diverso, insolito! ».

« Insolito? » ha ripetuto Roberta.

 «Con desiderio, con piacere, come un uomo guarda una donna… questo per me è strano, non mi succede spesso, troppi mi guardano in modo “ibrido” ».

 « Ibrido? E che cosa vuol dire? ».

«Sì, ibrido, senza sesso, né uomo, né donna, un’amica, un angelo asessuato. Lui mi ha guardata in modo diverso, ecco!» «Ma lo conosci? Sai chi è? Ti ha detto qualcosa?»

 «No, no, no»ho esclamato, rispondendo a tutte e tre le domande.

« E Filippo? Una settimana fa eri quasi disperata per lui »

Già, Filippo…il traditore che sta veleggiando con la sua dolce metà da qualche parte nel mondo dopo avermi giurato che l’avrebbe lasciata.

«Cosa vuoi che ti dica?  Una frase banale? Lontano dagli occhi lontano dal cuore…».

 «Su, fammi vedere questo Signor Sguardo-strano» ha tagliato corto lei.

 «Ma non posso, se ne  accorgerebbe, è lì, seduto al bancone, e sta guardando verso di noi…» La parola “noi” mi è morta in gola. Ecco spiegato tutto! Sguardo-strano stava ammirando Roberta, non me…Avrei dovuto immaginarlo, avrei dovuto pensarci subito, avrei dovuto…

 «Hai ragione, ti guarda proprio!». Roberta ha interrotto il filo delle mie recriminazioni. «Veramente non so se guarda me, sta solo guardando da questa parte, magari guarda te oppure la ragazza seduta qui a fianco o, che ne so…»

«Assolutamente no, guarda te, te l’assicuro!»

 “E se fosse vero? Se guardasse me?” ho pensato e ho azzardato un’occhiata, torcendo il collo. Sguardo–strano stava accostando il bicchiere alle labbra e  ha sorriso  maliziosamente.

“Bella cretina, beccata come una scolaretta…” ho pensato, ma lui ha alzato il bicchiere in un brindisi muto. Subito dopo si è alzato e si è diretto verso di noi.

 

È stato in quel momento, mentre mi sentivo preda del più grande e imbarazzante rossore che potessi ricordare alle guance, al collo e alla scollatura, mentre Roberta era tutta presa dalla soddisfazione del mio “successo” e Orazio guardava ora l’una ora l’altra, cercando affannosamente di capire se per caso in ciò che avevamo bevuto ci fosse veramente solo una caipiroska alla fragola, è stato in quel maledettissimo momento che un’ombra si è parata tra il nostro tavolo e  il giovane che si avvicinava.

«Ciao, fratello !» ha esclamato l’ombra.

Sguardo – strano si è fermato di botto e ha risposto nello stesso modo, poi i due si sono abbracciati, dandosi pacche amichevoli sulle spalle. In quell’abbraccio virile e aggraziato, simile ad una danza, l’ombra si è voltata e noi ci siamo trovati a fissare a bocca aperta Claudio, che non ha mostrato di averci visti o, se ci aveva visto, di averci riconosciuto o, se ci ha visto e riconosciuto, di avere la benché minima voglia di salutarci.

I due si sono allontanati verso un’altra zona del locale. Sguardo-strano mi ha lanciato un’ultima occhiata, quasi di scusa, poi ha seguito l’amico.

 

Ho sentito una fitta di delusione: per una volta che un uomo bello e affascinante aveva manifestato l’intenzione di agganciarmi, ci si metteva di mezzo il destino… il destino e quel…quel…

«Lo odio» ho sibilato e non c’era alcun bisogno di spiegare chi odiassi e perché.

SABATO…ALL’INFERNO

 







È successo di nuovo. Sabato sera Roberta mi ha convinto (costretto) a uscire. Non ho molta voglia di uscire, dopo la fine della mia storia con Filippo (anche se storia è una parola grossa per definire un rapporto sbilenco e sbilanciato come il nostro). Roberta, comunque, non solo mi ha praticamente costretta, ma ha voluto soprintendere al mio abbigliamento. Cioè, in pratica l’ha scelto lei: ha frugato nel mio armadio, borbottando che possiedo solo stracci e abiti della nonna, finché ha trovato un tubino nero che indossavo 5 anni e 2 taglie fa. Per evitare che ci scoppiassi dentro, mi ha fatto mettere sotto una roba tipo il mini-busto stritolatore di Rossella O’ Hara e, miracolo, la zip del vestito si è chiusa, anche se rischiavo un mezzo soffocamento, tanto era stretto. Per la verità era anche molto scollato, ma non ho osato protestare che mi sarei sentita più a mio agio con i miei nuovi jeans e la mia nuova maglietta blu. Non volevo che dicesse (come ha già fatto più volte) che non ho ereditato gli abiti di mia nonna, ma quelli di mio nonno. Devo però ammettere che, dopo che ha pasticciato con i miei capelli e con il trucco sul mio viso, non stavo niente male. Mi sentivo perfino quasi bella.

Siamo andate all’Inferno, il locale cool del momento. Scendere i 13 scalini traballando sui trampoli che ha voluto per forza imprestarmi non è stato facilissimo, tanto più che il vestito, già piuttosto corto, aveva l’inquietante tendenza a salire ad ogni passo, comunque mi sono concentrata e ci sono riuscita. Dentro, l’atmosfera era quella di sempre: allegra ma non chiassosa, disinibita, ma non volgare…ok, sto prendendo tempo in cerca di aggettivi, perché ancora non so capacitarmi di quello che è successo subito dopo. Bé, non proprio subito dopo, perché appena entrate davanti a noi si è materializzato Orazio (e questa non è una novità) e poi ci siamo sedute e lui ci ha offerto una caipiroska alla fragola. 

Roberta stava cominciando a guardarsi intorno, invitandomi a fare altrettanto, in cerca di visi conosciuti, o anche sconosciuti, purché interessanti e possibilmente intriganti, quando all’improvviso ho percepito uno strano brivido, come se una folata di brezza o una mano leggera mi avesse appena sfiorata, o come se qualcuno ci stesse osservando…


sabato 23 settembre 2023

I TARALLI DI ZIA NENNA (RICETTA GNAM GNAM)

 




Ingredienti

800 gr di farina (anche un po’ di più se l’impasto risultasse molle), 4 uova intere, 300 gr di zucchero, 1 tazza di olio di oliva, 100 gr di burro ammorbidito a temperatura ambiente, 2 cucchiai da minestra di liquore limoncello (fatto in casa), scorza di limone grattugiata, 1 bustina di lievito per dolci.

Esecuzione

Mettere le uova (tolte un po’ prima dal frigo) insieme allo zucchero in una zuppiera e con lo sbattitore elettrico sbattere fino a quando l’impasto non risulta bianco e spumoso (più è lunga questa fase più buoni sono i biscotti). Aggiungere il burro ammorbidito, l’olio e il liquore, poi, un poco alla volta, la farina, alla quale è stata aggiunta la bustina di lievito, dopo averla passata al setaccio per evitare grumi, avendo cura di girare sempre nello stesso verso, per non smontare l’impasto, con un cucchiaio di legno.

Quando l’impasto è abbastanza consistente, metterlo sul tavolo e continuare a impastare fino a quando risulta liscio e omogeneo (consistenza tipo pasta di pane). Nel frattempo accendere il forno a 180° e farlo riscaldare.

Prendere un pezzo di pasta e fare dei salsicciotti con le mani (come quelli degli gnocchi). Lo spessore delle strisce deve essere sui 3 cm. Tagliare le strisce in tanti pezzi da 10 cm e metterle in una teglia rivestita di carta forno. I taralli devono stare distanti uno dall’altro per evitare che crescendo durante la cottura si attacchino tra di loro.

Se si vuole che, oltre che buoni siano anche belli, con la punta delle forbici date sulla pasta alla stessa distanza tanti” pizzicotti”. Infornare, mettendo la teglia al primo livello ma non sul piano terra e non aprire il forno fino a quando non sono ben dorati. Dovrebbero cuocere in 20 mn, ma dipende dal tipo forno.

Zia Nenna ha detto in modo sibillino: se è forte, cuoceranno prima, se è moscio, ci metteranno un po’ di tempo in più. 

ZIA NENNA

 



Zia Nenna non è, in realtà, nostra zia, ma abita al piano di sopra e si chiama Rosa Giancotti, però l'hanno sempre chiamata tutti Nenna, che in napoletano (sua città d'origine) significa piccola, bambina, perché era la più piccola della sua numerosa famiglia, sia in età che in statura.

E' molto anziana, anche se nessuno ne conosce l'età, ma è sempre allegra e spensierata, anche se talvolta dà l'impressione di essere un po' svanita. E' rimasta vedova dieci anni fa, senza figli e senza parenti, ed è l'inquilina più anziana del palazzo, tuttavia è arzilla e, a suo modo, combattiva, un po’ come la Nonna Abelarda di un fumetto di tanti anni fa, che io conosco perché mio zio Joe (che in realtà si chiama Giuseppe, ma siccome è vissuto in America dieci anni, vuole che tutti lo chiamino Joe), mio zio Joe, dicevo, me l’ha fatta conoscere attraverso la sua collezione di fumetti di quando era bambino.

A zia Nenna piace che la chiamiamo zia, perché - dice- la fa sentire di famiglia. Cinque anni fa, quando abbiamo preso in affitto il nostro appartamento, abbiamo subito fatto amicizia con lei che, essendo stata un’abile sarta in gioventù, si è offerta di farci dei piccoli lavori di cucito. Quasi ogni giorno ci porta una ricetta nuova, nella vana speranza che prima o poi anche noi impariamo a cucinare.





ARRIVA ZIA NENNA

 




Stamattina, con gli occhi semichiusi, dopo un'altra notta non troppo tranquilla al piano di sopra, ho aperto il frigo, facendo cadere uno o due dei magneti che lo ricoprono, ricordi di viaggi miei o di Roberta. Ho guardato all’interno con aria sconsolata: due o tre peperoni afflosciati troneggiavano sul primo scaffale insieme ad un cespo di lattuga dall’aria avvizzita. Sul secondo, un uovo giaceva accanto ad una confezione da un litro di yogurt rigorosamente magro ma scaduto da un bel po’. Una bottiglia di latte cagliato completava l’opera. Inutile: Roberta ed io non saremo mai due casalinghe, per noi è quasi contro-natura, o, almeno, contro la nostra natura.

Mentre stavo decidendo di andare al bar all’angolo, dove consumare la mia solita ipercalorica ma gustosa colazione, il suono insistente e prolungato del campanello d’ingresso mi ha fatto sussultare. Con aria rassegnata ho aperto la porta, mentre anche Roberta si affacciava dalla sua stanza. La figura raggrinzita e incartapecorita della signora Giancotti si stagliava nel vano, guardandoci con aria innocente e sorridendo con l’allegra spensieratezza di una bambina. Lei abita al piano di sopra, sullo stesso pianerottolo di Claudio, da quando si è sposata nel 1956, rimanendo poi vedova dieci anni fa, ed è l’inquilina più anziana del condominio. Cinque anni fa, quando abbiamo preso in affitto il nostro appartamento, abbiamo subito fatto amicizia con lei che, essendo stata un’abile sarta in gioventù, si è offerta di farci dei piccoli lavori di cucito, sollevandoci spesso dal problema di accorciare un orlo, stringere – Roberta – o allargare – io – una gonna e perfino di attaccare un bottone, considerata la nostra scarsa abilità manuale in questo settore, nonché la nostra assoluta mancanza di volontà di imparare. Soprattutto, però, la signora Nenna (o zia Nenna, come vuole che la chiamiamo, perché, dice, le fa sentire di avere una famiglia), ci porta quasi ogni giorno una ricetta nuova, nella speranza che prima o poi anche noi, nonostante la nostra evidente inettitudine in tal senso, impariamo a cucinare.

In quel momento aveva in mano, infatti, il suo prezioso libriccino nero di ricette napoletane (è originaria della provincia di Napoli, anche se non vi torna da tempo immemorabile), che ha aperto non appena si è seduta in cucina e Roberta le ha offerto un caffè. « Una di voi prenda carta e penna e scriva!» ha ordinato. Visto che Roberta era impegnata con la caffettiera, mi sono affrettata io ad ubbidire...

venerdì 22 settembre 2023

UN ABITO DA SPOSA





Era invece il mio fornitore abituale, entrato trascinandosi dietro un baule polveroso e, a giudicare dall’aspetto, abbastanza pesante. Da un po’ di tempo l’uomo, in mezzo a stracci e oggetti di dubbia provenienza e incerta età, mi porta degli abiti che, opportunamente trasformati, hanno fatto la loro bella figura nel mio negozio di vintage “Sogni Antichi”.  Spesso, insieme agli abiti, ho trovato frammenti di vita di tante persone che ormai non ci sono più e ho fantasticato ad occhi aperti su una foto ingiallita, un biglietto del tram nascosto in un taschino, un nome appuntato su un pezzo di giornale o la ricetta di una torta dimenticata in un grembiule. Ho sempre pensato a come sarebbe bello, attraverso quegli oggetti così comuni. poter riannodare fili di storie passate …

Mi sono scossa, tornando al presente e all’uomo che mi stava davanti e che si strofinava le mani, già pregustando l’affare che stava per portare a termine.

«Mi faccia vedere la merce» gli ho detto in tono professionale.

 Lui ha trafficato un poco con la chiave arrugginita e ha sollevato  il coperchio.

Subito si è diffusa nell’ambiente una fragranza di gelsomino mista all’odore dei confetti, un accoppiamento abbastanza particolare, mentre fogli ingialliti di carta velina bianca facevano capolino dalla cassa. Ho cominciato a toglierli delicatamente, fino a quando ho intravisto dei lembi di pizzo chantilly ormai ingrigito. Era un abito da sposa di un tessuto impalpabile, trasparente, ricamato con piccoli tralci di fiorellini di un tono rosa gentile e delicato. La scollatura generosa era contornata da una fila minuscola di rose in rilievo, scurite dal tempo ma stupende nella loro fattura. L’abito terminava all’orlo con il pizzo chantilly che avevo scorto prima. Seminascosto dal vestito c'era un velo da sposa, anch'esso di pizzo, il sogno di ogni donna (a parte me). Ho capito che mi trovavo davanti ad un vero capolavoro di altri tempi, fine Ottocento - inizio Novecento, a giudicare dalla linea asciutta e sobria del vestito e dagli splendidi ricami a mano. Un abito da sartoria, cucito e realizzato da mani esperte e sapienti.

Il vecchio, che mi guardava con gli occhi fiammeggianti, ha sorriso, mostrando la bocca quasi sdentata e poi, addolcendo lo sguardo mi ha detto: «Se lo provi, è così bello, magari le porta fortuna!».

L’ho subito fulminato con lo sguardo, non bastavano amici e parenti a ricordarmi di trovare un marito, adesso ci si metteva anche il vecchio rigattiere… Sono riuscita a trattenermi dal rispondergli malamente, limitandomi a pagarlo senza commentare.

Quando il vecchio se ne è andato, saltandomi gentilmente, mentre io gli ho risposto a stento, ho realizzato che il mio nervosismo derivava forse dalle due notti passate a sopportare i rumori assurdi del nuovo vicino di casa. L’immagine del giovane seminudo mi è balenata in testa, creando scompiglio nei pensieri e nella concentrazione.

“Se continuo così, mi si arrostirà il cervello – ho detto alla mia immagine riflessa nello specchio.

Ne sono ancora convinta. Troppi pensieri inutili non giovano al buonumore e fanno ingrassare!

 

giovedì 21 settembre 2023

PANTERA ROSA E UNICORNI




Cinque minuti dopo, mentre stavo per riaddormentarmi, un rumore improvviso, proveniente da sopra, mi ha fatto sobbalzare nel letto. Mi sono catapultata fuori dalla stanza, andandomi a scontrare con Roberta. Abbiamo deciso di salire, per scoprire che cosa stesse accadendo in casa dello strano-figaccione-nuovo vicino che, a quanto pareva, aveva deciso di rompere le scatole. 

Raggiunto quell'appartamento, ho suonato con decisione al campanello: come reazione, un rumore come di vetri calpestati, accompagnato da un fruscio ritmico e leggero, poi all'improvviso il fruscio è cessato e la porta si è aperta. Lo strarompi era lì, alto, slanciato e, cavoli, figo sa morire. Cioè, non figo in senso classico, non si può dire che sia nemmeno bello, però ha una sorta di fascino animale, unito ad uno sguardo scuro come la notte e acuto, penetrante come una sciabola. Mi sono trovata a fissare il piccolissimo tratto di peluria scura sotto il labbro inferiore: sì, Roberta aveva ragione: il nostro nuovo vicino era sexy. A guardarlo, non faceva venire in mente casette con giardino, pappe profumate e frotte di bambini, ma letti con lenzuola blu, stanze aperte sul mare e… sesso. Lui stava appena appoggiato allo stipite, in atteggiamento indolente, sornione, vigile: sembrava non avere fretta e attendere che fossimo noi due a fare la prima mossa. 

Una specie di luce soffusa proveniva da dietro le sue spalle, dandogli un’aria vagamente misteriosa e oscura. Indossava un paio di jeans scuri a vita bassa, molto bassa, ed una camicia immacolata, aperta sul davanti, che lasciava intravedere un ciuffo di peli neri sul petto. Aveva i piedi nudi, lunghi, sottili, affusolati. Mi sono immediatamente pentita di essere salita così, con i capelli arruffati, la vestaglia con l’orlo scucito e le pantofole della pantera rosa. Sono arrossita, ma Roberta ha scelto proprio quel momento per chiedere con aria furibonda che cavolo stesse succedendo lì. Mi è sembrato che la domanda lo divertisse, perché se ne è uscito in un sogghignante sorriso sghembo, mentre negli occhi riluceva un’espressione stupita ed innocente. Roberta non ha mollato, ma ha protestato che i suoi fastidiosi rumori ci avevano svegliate e che era l'alba, ora in cui le persone normali normalmente dormono. Lui ha abbassato gli occhi, puntandoli sulle mie pantofole, che ho cercato invano di nascondere, non potendo in effetti galleggiare a mezz'aria, e ha mormorato appena che gli dispiaceva, poi ci ha voltato le spalle e ha chiuso la porta, lasciandoci lì come due cretine. 

A quel punto che potevamo fare? le possibilità erano due: attaccarci al campanello o andarcene. Ce ne siamo andate, commentando il fatto che il ragazzo era uno screanzato (questa parola l'ha detta Roberta, lei è il tipo da usare termini antiquati facendoli però sembrare di estrema attualità). Io mi sentivo vagamente inquieta e, appena rientrate in casa, mi sono lasciata andare a riflettere sulla poltrona cigolante di quello che pomposamente chiamiamo “salotto”, ma che in realtà è un’accozzaglia di mobili di provenienza diversa e di stile indefinito. Roberta si è lamentata del fatto che quello non si è scusato. 

In effetti gli uomini, qualunque uomo, avrebbe fatto di tutto per Roberta, compreso lo scusarsi in ginocchio, se fosse stato necessario, indipendentemente dal motivo delle scuse e dall’essere o no colpevole di qualcosa, il che rendeva il comportamento del nuovo vicino ancora più strano: lui non si era scusato affatto, aveva detto un affrettato e bassissimo "Mi spiace" con l'aria di dire, invece "Perché non vi togliete dalle palle?". E non aveva guardato Roberta, solo, purtroppo, le mie pantofole della pantera rosa. Io ho confidato a Roberta che sentivo una specie di inquietudine, ma non sapevo spiegare perché, anche se ero certa che prima o poi mi sarebbe venuto in mente. A quel punto abbiamo deciso di fare colazione, tanto ormai il sonno se n'era andato, anche se la sensazione di inquietudine non mi ha abbandonato per tutta la mattina. 

Più tardi, mentre stavo allestendo la vetrina del negozio, mi è venuto in mente che cosa mi avesse colpito, causandomi quel senso di angoscia. Stavo drappeggiando uno scialle di pizzo nero intorno alla cornice di un quadro che riproduceva uno scorcio di Venezia in una notte lunare, quando mi è venuto in mente che durante la nostra "spedizione" al piano superiore, nei pochi istanti in cui lui era rimasto sulla soglia, avevo sbirciato dentro e avevo visto, appese alle pareti tinte di rosso scarlatto, delle foto, che rappresentavano tutte, ma proprio tutte, lo stesso soggetto, in colori e sfumature diverse. Una luna piena, leggermente velata, si stagliava sinistra in un cielo scuro scuro, illuminando appena un paesaggio indistinto e fumoso. 

Io ho un'inquietante tendenza a fantasticare in un modo che i miei hanno sempre definito esagerato: ecco perché a quel punto la mia mente ha cominciato a ruotare come un frullatore al massimo dell’accelerazione, rischiando di mandarmi il cervello in pappa. Proprio in quel momento, però il tintinnio dello scaccia spiriti che ho appeso strategicamente sopra la porta d’ingresso (non si sa mai), si è fatto sentire ed io mi sono scossa, avvicinandomi al bancone, con la speranza che fosse qualche affezionata cliente.







 

CAROLINA




Avete presente Candy Candy? (io sì, sono di quella generazione). Ecco, questa è Carolina, cioè in realtà le assomiglia nei capelli, biondi, lunghi e riccioli, gli occhi (per fortuna) sono meno bambineschi e sono grigi, quasi del colore dell'acciaio (anche se lei li definisce "azzurro sbiadito"). 

Dopo di me, Carolina è la più grassa, cioè la meno magra, perché grassa non si può proprio dire, lì il primato spetta alla sottoscritta. Ci conosciamo da cinque anni e siamo molto affiatate, perché Roberta ed io siamo, oltre che sue amiche, anche sue fedeli clienti. Lavora infatti in una profumeria e spesso ricorriamo ai suoi consigli, che su Roberta hanno sempre un effetto stupendamente sconvolgente, su di me un po' meno, molto meno! 

Carolina ha anche un diploma in erboristeria ed è un'esperta di essenze, avendo frequentato corsi specifici; in pratica, è quasi uno dei cosiddetti nasi. Io l'ammiro moltissimo per questa sua abilità nel riconoscere ogni profumo, snocciolandone ingredienti ed essenze.
 

GIADA

 




Che dire di lei? Non ci siamo conosciute molto tempo fa, ma noi tre (lei, io e Roberta) abbiamo subito simpatizzato. Di altezza media, ma comunque più alta di me (quasi tutti sono più alti di me), anche lei è magra, anzi magrissima, e slanciata, ma ha un seno sovrabbondante che stona un po' su quel corpo così sottile. Giada vorrebbe farselo ridurre, ma non è ancora riuscita a mettere da parte i soldi per farlo. Ha 27 anni, mora con capelli lunghi e dritti che a volte tiene raccolti in una coda di cavallo. Indossa spesso minigonne e lunghi stivali in pelle nera. 

È simpatica, allegra, divertente; ha sempre molte storielle spiritose da raccontare, anche a causa del posto in cui lavora. Infatti, con grande sgomento di Matteo, fa la commessa in un sexy shop.

MATTEO




Ecco un altro dei miei (nostri) amici. Fisicamente è una via di mezzo tra Anna dai capelli rossi in versione maschile e il Cappellaio matto di Alice, anche se in effetti assomiglia più a quest'ultimo. Non che Matteo sia matto, ma un po' strano lo è, a volte svampito, spesso assente, perso in chissà quali pensieri e fantasticherie (anche se sospetto che la maggior parte abbia come protagonista Giada). Di carattere solare e ottimista, è sempre allegro e sorridente (ha 33 denti!), anche se la vita l'ha già colpito duramente. Lavora in uno studio legale e per questo è sempre ben vestito. 

Matteo è mio amico dai tempi della scuola ed è stato il primo a baciarmi, per quanto non fosse un vero bacio, ma una specie di bacio, dato tra due baccalà che hanno appena accostato le labbra, tenendo le lingue ben nascoste ciascuno nella propria bocca e senza accostarsi neppure quel tanto da abbracciarsi, ma semplicemente allungando prima il collo, poi la testa ed infine le labbra. A nostra discolpa c'è il fatto che avevamo...12 anni!




 

MANUEL



Ecco, se qualcuno volesse sapere com'è Manuel, il modello israeliano Nir Lavi è quello che gli somiglia maggiormente. Anche Manuel ha un'aria un po' selvaggia, capelli neri e occhi azzurri, solo che lui è un po' più...in carne. Le "maniglie dell'amore" sono il suo cruccio, anzi il suo cruccio è proprio l'amore, che per lui significa quasi sempre sofferenza e tormento. 

Manuel fa il parrucchiere per signora e si innamora sempre delle persone sbagliate, che finiscono per approfittarsi del suo buon carattere e della sua sensibilità.





CLAUDIO, LA PANTERA NERA

 



Claudio Serri abita nell'appartamento esattamente sopra il nostro. Alto e slanciato, non è bello in senso classico, però è figo da morire. Ha i capelli corti, scuri e occhi neri e intelligenti, acuti. 

La prima volta che l'ho visto, ho notato tre particolari che mi hanno rimescolato dentro: un piccolissimo tratto di peluria scura sotto il labbro inferiore, che gli dà un'aria ironica e vagamente annoiata, uno sguardo glaciale, un atteggiamento solo apparentemente rilassato, come quello di un felino pericoloso e fatale. 

Il suo comportamento verso di noi è scorbutico, freddo, non sgarbato, ma poco socievole, quasi insofferente. Sembra però che con altri sia ben diverso, cordiale, amichevole, addirittura confidenziale. Forse Roberta ed io gli siamo antipatiche? Mah, Claudio è un mistero. Fa pensare ad un abisso profondo, ad una notte buia, ad un taglio di velluto, al colore blu, blu scuro, un blu profondo, insondabile, misterioso e… pericoloso.

PROFONDO BLU

 






Più tardi, a pranzo, ci siamo ritrovati tutti al Plaza, il bar dove andiamo di solito e dove si respira un'atmosfera kitsch ma allegra e divertente. Io, veramente, ero un po' in ritardo e i miei amici dovevano già essere lì, nella saletta che chiamiamo Le mille e una notte, perché è arredata in modo orientaleggiante e su un mobile scuro c'è una specie di lampada di Aladino ( che tutti abbiamo provato a strofinare, senza risultato). 

Ho scostato tenda a strisce in bambù e raffia, che separa la saletta dal resto del locale, con un gran sorriso, rivolto ai miei amici e al tipo del negozio di strumenti musicali che mi faceva il filo da qualche giorno… se i suoi amici ed il tipo che mi faceva il filo fossero stati lì. Perché lì, seduto bel bello, una rossa sulle ginocchia, due ragazze ed altri due giovani al suo fianco, se ne stava invece il vicino di casa – strano- figaccione, che mi ha guardato per un momento, distogliendo subito lo sguardo e tornando ad occuparsi di quella specie di cozza con grandi tette che gli stava appiccicata addosso e sembrava pendere dalle sue labbra. In quell'imbarazzante situazione, non ho trovato di meglio che farfugliare una scusa e rimanermene lì, immobile, aspettando umilmente una risposta. Lo sguardo del vicino di casa si è sollevato un momento dalla scollatura della rossa appiccicosa e mi ha guardato come se fossi trasparente…e sì che mi sentivo tutt’altro che trasparente, affannata, sudata, imbarazzata e terribilmente più grassa della rossa che gli sedeva in braccio! Lui fha fatto un cenno del capo, come per dire “ok, ti sei scusata, sparisci” e è tornato ad occuparsi della ragazza che faceva le fusa sulle sue ginocchia, mentre gli altri componenti della piccola compagnia sembravano completamente disinteressati alla mia presenza. 

Non trovando altro da dire e scocciata per quella situazione assurda, ho girato sui tacchi e sono in cerca dei miei amici e li ho trovati nella veranda all’aperto, che chiacchieravano allegramente, per nulla seccati dall’essere stati preceduti nel momentaneo possesso della saletta delle Mille e una notte. 

C’erano quasi tutti: Roberta, impegnata a sbocconcellare una fettina di mozzarella ed una foglia di insalata; Giada, la ragazza che lavora in un pornoshop; Carolina, commessa in una profumeria; Matteo, l'avvocato che è stato mio compagno di banco e che mi aveva dato il primo bacio, giurandomi amore eterno e tradendomi il giorno dopo con la ripetente dell’ultima fila (l’ho perdonato solo in virtù del fatto che allora avevamo dodici anni); c’era anche Manuel, il parrucchiere che da un bel po’ cerca disperatamente di domare la mia ribelle e scialba capigliatura, e infine l’immancabile Orazio, che, più che mangiare il cibo nel piatto, mangiava Roberta con gli occhi. 

Nessuna traccia del tipo che mi faceva – avrebbe dovuto farmi – il filo. Ho pensato che si fosse già stancato, ovviamente, e mi sono seduta con un sospiro, cadendo quasi addosso a Matteo, che mi ha sorriso malizioso. Gli ho bofonchiato di non fare il cretino e tutti mi hanno guardata perplessi, perché indubbiamente Matteo voleva solo scherzare un po' e non aveva nessuna intenzione di fare delle avances all’amica di sempre, anche perché ultimamente si è fissato fatto su Giada, che non sembra indifferente ai suoi timidi tentativi di corteggiamento, anche se Matteo sussulta ogni volta che pensa al tipo di merce che Giada “maneggia” ogni giorno. 

Mi è venuto subito il ricorrente squallido pensiero che tutti mi considerano solo un'amica, ma non mi sono accorta di pensare ad alta voce e quel cretino di Matteo si è rivolto a me chiamandomi ciccioletta ciccioletta. Matteo ha l’irritante abitudine di ripetere le parole e, soprattutto, di chiamarmi con quel nomignolo che mi fa pesare ancora maggiormente i miei già pesanti chili di troppo. Manuel è intervenuto, dicendogli che è uno stupido ed io gli ho sorriso grata. 

Manuel è un bel ragazzo di trentacinque anni, con un viso angelico, capelli neri e occhi azzurrissimi, un insieme selvaggio ed affascinante. Anche lui, però, ha qualche chilo in più, che si è malignamente sistemato sul girovita, tanto che lui dice spesso di avere due grosse maniglie dell'amore ma nessun amore vero. In effetti lui colleziona delusioni come altri collezionano figurine o francobolli. Ha avuto una passione sfrenata per un tassista che posteggiava alla stazione ferroviaria e ha speso un capitale facendosi condurre nei posti più disparati, pur di potergli parlare, ma ogni strategia è stata inutile: l’uomo, rigorosamente eterosessuale, non è apparso minimamente interessato al suo disperato corteggiamento. Poi è stata la volta di un autista della locale compagnia di autotrasporti e noi l'abbiamo visto spesso viaggiare in autobus in lungo ed in largo per la città, con il solo risultato di avere ancora una volta il cuore spezzato. Quando è guarito dalla sua non ricambiata passione, Manuel ha giurato di non innamorarsi più di autisti e conduttori vari ed ha avuto una breve, intensa storia con un commesso di un supermercato, che al massimo, guidava un carrello della spesa, e poi con l’aitante segretario del proprio amministratore condominiale, che non guidava proprio nulla, perché non aveva neppure la patente e si è fatto scarrozzare da Manuel ovunque dovesse andare, finché lui si è stancato di essere sfruttato e l’ha lasciato a piedi a 10 km dalla città e per di più in aperta campagna. Naturalmente la relazione è finita, ma da quel momento Manuel sembra intenzionato scegliere meglio i suoi potenziali amanti, anche se tale ponderatezza l'ha portato ad esser single da ormai quasi due mesi, un mese, venticinque giorni e quattro ore, per l’esattezza, come ha dichiarato subito dopo aver dato dello stupido a Matteo. 

In quel momento Roberta ha richiamato l'attenzione di tutti su chi stava uscendo dal bar e i nostri sguardi si sono puntati sul vicino-strano-figaccione che se ne andava con abbarbicata la rossa appiccicosa. Tutte le ragazze presenti sembravano avere occhi solo per lui, non perché lui sia bello nel senso tradizionale del termine, ma perché emanava un’aria di mistero e di magia, come se il suo sguardo conducesse verso un corridoio ghiacciato, anche se la rossa non sembrava per nulla congelata. Era vestito semplicemente, ma in modo accurato: scarpe da ginnastica bianche, jeans azzurro chiaro lunghi e stretti, una maglietta grigia, una giacca di pelle blu. Quando ci è passato vicino, senza apparentemente accorgersi di noi, abbiamo sentito un lieve profumo speziato di legno, patchouli e ambra, mescolato al dolce del geranio, del cipresso e del cardamomo, e al fresco profumo del lime, del pompelmo e dello zenzero (cioè, queste cose ce le ha dette, dopo, Carolina, noi abbiamo sentito un profumo e basta)… ed era già sparito. La nostra amica, dall’alto della sua esperienza professionale di commessa in una profumeria, annusando lievemente, ha sentenziato che si trattava di Dark Blu di Hugo Boss, un profumo mooooooolto maschio. Abbiamo dovuto spiegare chi fosse quel ragazzo e Giada ha insistito per conoscerne il nome, sostenendo poi che Claudio Serri assomigliava a una pericolosa pantera nera, mentre Matteo sbuffava platealmente. 

Subito dopo Roberta si è alzata, per precipitarsi nel suo laboratorio di ceramiche, dove crea vasetti, campanelle, piastrelle ed altra oggettistica, anche se la sua specialità sono gli angioletti, che dipinge a mano, facendone dei veri e propri piccoli capolavori. Sapeva che nel pomeriggio presto sarebbe passata una noiosissima cliente, la quale aveva fatto un ordine sostanzioso e lei doveva ancora dare qualche ritocco alle sue opere. Tutti ci siamo alzati e siamo tornati ai nostri impegni, senza pensare più a e alle sue stranezze. 

Ci abbiamo pensato, però, più tardi, o meglio, siamo state costrette a pensarci quando, mentre stavamo per iniziare a cenare, dal piano di sopra scricchiolii, sommovimenti, sussulti, molleggiamenti ritmati e cadenzati ci hanno impedito di mangiare con calma, di conversare e di seguire il telegiornale. Un po' incazzate un po' ridendo, abbiamo osservato che il “nostro” Claudio si stava dando evidentemente da fare e, mentre Roberta esprimeva la speranza che non ci cadessero in testa, io mi sono limitata a sperare di poter dormire. Ingenua…

 


L’ INCONTRO

 





I rumori sono continuati, con brevi interruzioni, fino alle 3, quando mi sono decisa a marciare fino al piano di sopra, seguita da Roberta, lei in una camicia da notte vaporosa, corta e leggera, in equilibrio perfetto sulle ciabattine dal tacco alto e dorato, io a piedi nudi, in pigiama di cotone con l’immagine di un rospo che porta una corona in testa, regalo di una bizzarra zia che vive a Londra. Certo, non è che facessi paura a nessuno, piccola come sono e scalza, ma ero proprio arrabbiata, tanto da non temere nemmeno il confronto con la rossa appiccicosa dalle lunghe gambe con la quale probabilmente il nostro vicino si stava divertendo. 

Mi sono attaccata al campanello e il suono si è ripercosso in tutto l’edificio, tanto che ho temuto che qualcuno aprisse la porta e ci trovasse lì, seminude, spettinate e molto molto arrabbiate. Ma nessuno si è fatto vivo. Per la verità, nemmeno Serri. Ho appoggiato l’orecchio alla porta: silenzio. 

In quel momento abbiamo sentito provenire dalle scale un suono inquietante, con un sottofondo metallico, come se qualcuno trasportasse un bidone… o una spada, ma una spada  grossa, di quelle medievali. Dall’angolo del pianerottolo, però, è spuntato Orazio, i capelli ispidi più arruffati del solito, un accappatoio lungo e informe, da una parte del quale pendeva la cintura, che si trascinava dietro un mazzo di chiavi, sobbalzanti e tintinnanti. Orazio ha l’aria perennemente perplessa, ma in quel momento l’aveva ancora di più, un po’ perché vedere Roberta così probabilmente gli faceva venire il batticuore, un po’ perché forse non capiva come mai due ragazze in apparenza sane di mente e di corpo, non riuscendo a dormire, stessero tentando di abbattere la porta di un altro condomino. Mentre stavamo cercando di spiegargli le nostre supposizioni sulla vita sessuale al di là della porta, questa si è aperta silenziosamente e sulla soglia si è materializzato una specie di angelo corrucciato, il braccio tatuato appoggiato mollemente allo stipite della porta, scalzo, con indosso solo un paio di boxer con stampato un cervo...proprio lì. 

Orazio ha cercato di balbettare qualcosa; Roberta, sorridendo in quel suo modo che avrebbe steso qualunque maschio che ne fosse stato investito, ha detto “Ciao” ma l’angelo non è parso particolarmente colpito e ha continuato a lasciar vagare lo sguardo da noi alla parete di fronte, con aria vagamente seccata. Ad un certo punto nei suoi occhi è balenato un lampo quasi divertito e –miracolo! – ci ha parlato, però per dirci che stavamo facendo rumore e gli impedivamo di dormire, per cui ci pregava di smettere, poi si è voltato e ci ha chiuso la porta in faccia. “Un’altra volta?” ho pensato, ma ero così stupita e così furente che, mentre Orazio rientrava nel suo appartamento, io, seguita da una Roberta a metà tra l’arrabbiato e il perplesso, ho ridisceso le scale. Sembravamo un piccolo esercito mesto, abbattuto e miseramente sconfitto. 

Mentre richiudevamo la porta di casa, ci è parso di sentire un rumore di oggetti caduti provenire dal piano di sopra, seguito da un grido e da una serie di risate soffocate, poi più nulla, per fortuna, fino al suono della sveglia, tre ore più tardi.

CONTINUA

 



La voce di Roberta mi ha riportato sul problema contingente, il nuovo vicino-strano-figaccione: «Sì, ma insomma, sai com’è quando vedo uno schianto di uomo…». Lo so com’è, eccome se lo so. Roberta sorride e quel sorriso da dea dell’Olimpo incanta immediatamente e senza speranza la preda di turno. Stamattina, però, ho letto negli occhi della mia amica una specie d’incertezza, una perplessità che non le conoscevo e le ho chiesto spiegazioni. 

Lei ha detto di averlo incontrato in garage, che lui è entrato sgommando con una di quelle auto truccate (non sapeva quale) e per poco non la investiva. Ha frenato in tempo, ma per la paura a lei sono cadute le cipolle in terra e sono rotolate per tutto il garage. ha poi attaccato una paranoia sul fatto che lei non voleva passare dal supermercato e che io invece e che lei, allora...L'ho pregata di non divagare (Roberta divaga sempre). Allora lei ha detto che era furiosa, che si era piazzata lì, davanti a quella cavolo di auto, che ha messo le mani sui fianchi e l’ha fulminato con lo sguardo. E che gli aveva detto il fatto suo. 

Posso immaginare benissimo la scena. Una dea offesa e infuriata, gambe lunghe e minigonna vertiginosa, braccia ben tornite, bocca morbida, occhi lampeggianti: praticamente irresistibile, quello che io non sarò mai. Ho sospirato e le ho chiesto che cosa gli avesse detto e lei ha risposto: «Gli ho detto: e allora?» Queste due parole non avrebbero spaventato nemmeno Cucciolo dei Sette Nani, ma la mia amica è fatta così e questo è il massimo della sua "cattiveria". Le ho chiesto come avesse reagito quello, se avesse chiesto scusa e lei mi ha risposto, esattamente: «Ha abbassato il finestrino, si è appena affacciato…oddio, Giuly, ha due occhi, due occhi, due occhi neri neri… Comunque ha abbassato il finestrino e mi ha parlato sottovoce.» Ho immaginato il complimento che il nuovo vicino-strano-figaccione le aveva fatto. Nessuno può resistere ad una Roberta in pieno assetto di guerra. Ma lei ha continuato: «Mi ha detto: Scusa, ti puoi spostare?» A quel punto ero davvero stupita e le ho chiesto se lei avesse reagito, ma Roberta ha sostenuto che era impegnata a raccogliere tutte le cipolle rotolate qua e là e che nel frattempo lui aveva già messo la macchina nel suo box e se ne era andato. « Non è strano?» ha concluso, con un sospiro nel quale vibrava ancora il furore per l’onta subita. Ho ammesso che era davvero strano e lei, con aria soddisfatta, ha fatto dietrofront ed è uscita dalla stanza senza aggiungere ulteriori commenti. «Sarà gay» ho pensato. Ho amici sia tra i gay che gli eterosessuali e vi assicuro che se non sono sicura dei primi, so per certo che nessuno, tra i secondi, direbbe mai a Roberta sottovoce “Scusa, ti puoi spostare?”. 

Conosco Roberta da cinque anni, ormai, e sebbene le voglia un bene dell’anima, digerisco sempre male le occhiate che i maschi dai cinque ai novantacinque anni, indistintamente, le rivolgono quando usciamo insieme. Sono forse gelosa della bellezza prorompente della mia più cara amica? Non credo sia questo, però mi scoccia che gli uomini mi considerino solo un’amica, una vice madre, una sorella…voglio essere considerata una donna, perché è questo che sono: una DONNA! 

“Va beh!” ho pensato, ributtandomi sotto le lenzuola e sperando di riprendere il sonno interrotto bruscamente...

ORAZIO

 





Ed ecco Orazio! Abita sopra di noi ed è impiegato all’ufficio postale (non portalettere come nell’immagine, che, però, a parte i capelli, gli assomiglia!). Ha trentadue anni, ma ne dimostra dieci di meno, sebbene questo fatto, anziché avvantaggiarlo, lo penalizzi fortemente, dandogli l’aria di un adolescente sgraziato e per niente sexy. 

È di media statura, ossuto, con un ciuffo di ispidi capelli biondastri che non ne vogliono saperne di stare a posto e le braccia, troppo lunghe per un corpo così minuto, danno la sensazione di non trovare mai un posto in cui stare, per cui ogni volta che si muove (e Orazio si muove spessissimo, impacciato com’è), finisce per scontrare qualcosa e farlo cadere. Avrebbe, è vero, due splendidi occhi azzurri, ma sono sprecati su quel volto che sembra messo insieme come capita capita e perennemente nascosti da spesse lenti da miope, cerchiate di tartaruga. 

Orazio è un amico fedele per Roberta e me, la sua disponibilità ad aiutarci nelle piccole riparazioni domestiche ci ha risolto spesso molti problemi. E' anche l'unico giovane che abita nel nostro condominio, la cui età media, se si esclude noi, si aggira intorno agli ottant'anni... :(



IL CAMALEONTE BLU

Mentre frenavo, qualcosa, in mezzo all’asfalto, ha attirato la mia attenzione. Istintivamente, ho pigiato più a fondo sul freno e mi sono fe...