Mentre frenavo, qualcosa, in mezzo all’asfalto, ha attirato la mia attenzione. Istintivamente, ho pigiato più a fondo sul freno e mi sono fermata a pochi centimetri dall’oggetto che si trovava sulla mezzeria, esattamente sulla striscia bianca che delimitava i due sensi di marcia. Ho provato ad aguzzare la vista, ma non vedevo bene. Stavo per ripartire, scansando l’impedimento, quando mi sono accorta che lo stesso sembrava muoversi. Più che muoversi palpitare.
«Che
cazzo» ho borbottato, indecisa se scendere a vedere di cosa si trattasse o
fingere di non aver visto nulla e ripartire.
Alla
fine è prevalsa la curiosità. Ho accostato l’auto sulla destra, spento il
motore, accese le due frecce di posizione, tirato il freno a mano, quindi ho
aperto la portiera e sono scesa, dirigendomi con circospezione a centro strada
e guardando da una parte e dall’altra che non giungessero auto a fare di me una
sottiletta sull’asfalto.
La
cosa non si muoveva più e ho cominciato a sospettare di aver visto male, così mi
sono avvicinata maggiormente, piano piano. L’oggetto, qualunque cosa fosse, era
avviluppato da una specie di straccio blu scuro che sembrava tenerlo stretto,
anche perché c’era uno spago tutto intorno. Il vento muoveva il panno,
facendolo sventolare.
Con
precauzione, ho avvicinato un piede alla cosa e l’ho toccata leggermente. La
cosa si è mossa. Incerta se fosse il vento, ho fatto un altro tentativo. Altro
movimento lento, quasi impercettibile. “Coraggio, ragazza mia – mi sono detta -
o apri o te ne vai, prima che arrivi un’auto e investa te e questo coso”.
Mi sono chinata e, facendomi forza, ho toccato
il coso con la punta delle dita.
Immobilità totale. Sensazione di freddo.
“O
la va o la spacca” ho pensato e ho allungato la mano. In quel momento dallo
straccio è emersa una cosa…anzi due cose…anzi tre: una zampa, una coda, una
lingua.
“Una
lingua? Cazzo, una LINGUA?”. I miei pensieri di colpo hanno perso l’ordine
logico e si sono succeduti a caso, come se il cervello avesse la razionalità,
ma i neuroni ruotassero impazziti. Ho
mollato la presa e mi sono rialzata, correndo verso la macchina, decisa ad
andarmene, lasciando quella roba, qualunque cosa fosse, al suo destino.
È stato in quel momento che ho visto in distanza un’auto che si avvicinava con una certa velocità.
“Se lo lascio lì, morirà” ho pensato e, sebbene non sapessi ancora che razza di animale fosse, perché di un animale sicuramente si trattava, non me la sono sentita di lasciarlo al suo destino. Sospirando, mi sono riavvicinata alla bestia e senza esitare l’ho tirata su, portandola al sicuro nella mia auto, pochi istanti prima che l’altra macchina passasse esattamente nel punto dove prima si trovava l’animale.
Con
i sensi in subbuglio, sono riuscita a srotolare lo spago e mi sono accinta a togliere lo straccio che avviluppava
l’animale, scoprendolo.
Niente
e nessuno avrebbe potuto prepararmi a quello che ho visto. Nelle sue mani,
tranquillo come se fosse nel suo luogo preferito, con la coda arrotolata e la
lingua trattenuta, se ne stava bel bello un cucciolo, se così si poteva
definire, di camaleonte che, com’è nella sua natura, aveva assunto il colore
del panno, quindi era tutto blu e
portava al collo una specie di collanina di perline blu, con al centro una
perlina rossa.
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